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Non è che siano cambiati molto questi Conservatori

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(@matteo-castellucci)
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Il sorriso a intermittenza si spegne quando parla dei laburisti. Quale idea di Paese ha Rishi Sunak? Incardina il suo discorso al congresso dei conservatori, il più importante perché l’ultimo prima di elezioni che vedono sfavorito il partito, su alcune priorità pragmatiche: le infrastrutture, il contrasto al fumo, l’educazione tecnica. L’orgoglio per il Regno Unito dove i figli degli immigrati possono diventare ministri e pure premier, «come me», coabita però con la selezione all’ingresso; la famiglia basata sull’amore con le sterzate identitarie: «Un uomo è un uomo e una donna, è buon senso».

La crisi dei Tories è esemplificata dal fatto che accoglierebbero Nigel Farage, se volesse la tessera. Offerta rispedita al mittente dal diretto interessato con un «Ossignore, no», dai corridoi di Manchester. La sua presenza lì è sintomatica di una fase accidentata, di incertezza ideologica perfino. La leader ai Comuni Penny Mordaunt, che scalda la platea a Sunak (compito delegato, a sorpresa, anche a sua moglie Akshata Murthy), in una prolusione che va dalle Falkland all’Ucraina e salda «partito e nazione» rivendica: «Siamo quelli che si oppongono ai bulli». Alla categoria, però, appartiene la titolare dell’Home Office, Suella Braverman.

Il giorno prima del gran finale, la ministra dell’Interno, molto inquadrata anche ieri, ha fatto una tirata che ha fomentato l’ala destra nat-con. Ha prospettato «un uragano» di migranti, ribadito che essere omosessuali non sia un requisito per ottenere la protezione umanitaria. «Non esiste l’ideologia gender, questa è spazzatura», le ha replicato (neppure a voce alta) un uomo in platea, subìto accompagnato all’uscita. Fuori, ai microfoni di Itv, ha spiegato che i bulli vanno affrontati. Mentre Sunak elogiava «le soluzioni di lungo periodo», slogan un po’ appannato, contro i vantaggi immediati che durano meno dei titoli di giornale, Braverman troneggiava sulla prima del Daily Mail.

Un’altra contraddizione: e un’altra fazione, ce n’è pure una nostalgica di Liz Truss. È curioso promettere «un cambiamento», o volerlo incarnare, dopo oltre un decennio a Downing Street. Per dirla con il ministro Johnny Mercer, «tutti vogliono un cambiamento dopo tredici anni, chiedetelo a mia moglie». L’orizzonte del premier è addirittura trentennale. I Laburisti, è il mantra, vogliono riportarci al passato; non ci si può fidare di loro. L’avversario tratteggiato dai Tories è più Jeremy Corbyn, evocato in continuazione, di Keir Starmer, che ha liquidato la stagione radicale (pur sedendo in quel gabinetto ombra, vero) e per quanto ideologicamente vago non pare certo ostaggio dei sindacati, anzi.

Il miliardario Sunak, in una ricaduta populista, lo bolla come parte dello status quo da abbattere. Fa un po’ bue che dà del cornuto all’asino: forse è intraducibile, oppure ci sarà un idiom inglese da campagna elettorale. Fun fact: l’unica a rasentare il corbynismo è Murthy quando parlando di opportunità «non per pochi, ma per ognuno» ricalca involontariamente lo slogan programmatico «for the many, not the fews».

Più puntuale, invece, e credibile la critica sugli ultimi tre leader del Labour usciti dallo stesso «miglio quadrato di Londra», e cioè maschi bianchi. Il premier ha quell’aria affidabile da buono dei film Disney (copyright non mio), ma ci dev’essere un errore nei sottotitoli. Quant’è «compassionevole» un conservatorismo che dice che non ci sono crimini minori, invoca l’ergastolo, riduce gli sbarchi alla regia delle «gang criminali»?

C’è poi l’ambiente, quantomai divisivo. Mordaunt, serissima, avoca la libertà di guidare senza trovarsi «la strada interrotta dagli attivisti o dai politici laburisti». Sunak si è proclamato protettore dei conducenti con un piano contro ztl e limiti di velocità, ma scontenta gli automobilisti. Nella stessa città, due anni fa, Boris Johnson aveva puntato forte sugli obiettivi ambientali: i Tories non li sconfessano, ma è come se dovessero giustificarsi, indorare la pillola. La parola d’ordine è «realismo». Una cosa, invece, non cambia mai: difendere a oltranza l’uscita dall’Ue, mito fondativo di questa destra. E allora, in tono confidenziale: «Da quando abbiamo lasciato il mercato unico, siamo cresciuti più di Francia e Germania: non nonostante alla Brexit, ma grazie alla Brexit».

Il premier esce mano nella mano con la sua «migliore amica» e compagna. Sarà a Granada, in Spagna, al terzo vertice della Comunità politica europea (il prossimo sarà in Gran Bretagna). Rifletterà sull’immigrazione con Giorgia Meloni. La settimana prossima, dalla conferenza laburista a Liverpool, toccherà invece a Starmer: gli risponderà, o forse no, non troppo. I sondaggi della settimana scorsa hanno visto i progressisti rosicchiare altri punti. Sono al quarantasei per cento, contro il ventisette di questo «partito del cambiamento». Ha ragione Mordaunt: astenersi deboli di cuore.

 
Pubblicato : 5 Ottobre 2023 05:00