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Cinque indirizzi a Milano da visitare rigorosamente da soli

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(@massimiliano-sortino)
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Se non avete ancora visto “Perfect Days”, nuova opera di Wim Wenders candidato all’Oscar come miglior film internazionale, sappiate che questo articolo contiene molti spoiler. Se pensate che la routine sia noiosa e non amate mangiare, passeggiare o andare al cinema da soli, sappiate che quello che state leggendo potrebbe farvi cambiare idea. Chiariamolo subito: i giorni perfetti del titolo sono quelli che il protagonista della pellicola vive ogni giorno, in momenti tutti uguali che si ripetono all’infinito. Di questo film si è detto tanto, forse troppo. C’è chi nel personaggio di Hirayama e nei suoi gesti ripetitivi si è rispecchiato assorbendone come per osmosi pace e serenità, e chi nella ritualità dei comportamenti del protagonista ha visto l’antidoto per resistere ai cambiamenti della vita.

Sicuramente, in “Perfect Days” Wenders ha scelto di ritrarre ancora una volta un uomo solitario, ma a differenza di molti suoi film precedenti, tra cui “Il cielo sopra Berlino”, il protagonista non è né alla ricerca di sé stesso, né in cerca di qualcosa. Non è in cerca perché ha già tutto: basta a sé stesso. Il messaggio alla base di tutta la pellicola sembra essere dunque che solo un vivere lento, ordinato e preciso può diventare la risposta alla noia e che per amare la vita nella sua semplicità bisogna innanzitutto stare bene con sé stessi. Anche da soli. Dovendo scegliere un solo termine per riassumere questa sensazione di pace che pervade il film, a metà tra consapevolezza, stupore e serenità la parola giusta sarebbe komorebi, la luce che filtra tra gli alberi.

courtesy of Masayume Milano

Il regista ha raccontato attraverso la storia di Hirayama (Kôji Yakusho), quella emozione sospesa che si prova osservando le luci e le ombre degli alberi attraversati dal sole, le chiome mosse dal vento, la luce che si intravede tra i rami. Momenti di quiete, attraversati da tutte quelle ombre che in una vita si possono incontrare. Forse per questo in tutta la pellicola i dialoghi sono ridotti all’osso: a parlare sono infatti le espressioni di Hirayama e le musiche. Ispirati dal film e dalla voglia di vivere almeno per un giorno la stessa pace interiore che trasmette il protagonista di “Perfect Days”, sulle tracce di un viaggio in solitaria abbiamo scelto cinque luoghi di Milano in cui si possa godere la bellezza delle piccole cose, tra otium letterario nella più piccola galleria d’arte del mondo, dolci che scaldano il cuore, neon e graffiti di una trattoria giapponese e per finire un bar minuscolo in cui brindare alla vita, quella lenta ed ordinata che va assaporata anche da soli.

Colazione o brunch all’Upcycle Milano. Primo bike cafè d’Italia, il locale di Via Ampere 49, in Città studi, ruota intorno alla sostenibilità ambientale e al mondo delle due ruote. Il loro motto è bere, mangiare e pedalare. Bar, bistrot, ma anche posto di ritrovo per gli avventori che si possono sedere al social table e gustare i numerosi piatti della tradizione nordeuropea. Locale dalla filosofia sostenibile dove l’acqua è filtrata e gratuita, tutti gli arredi sono di recupero ed è a disposizione dei clienti una casetta degli attrezzi per riparare le biciclette o gonfiare le ruote.

In Corso di Porta Vittoria 46 c’è la più piccola galleria d’arte del mondo. Small Small Place è lo spazio di soli sette metri quadrati dedicato alla cultura visiva contemporanea e al mondo del progetto. L’obiettivo principale è quello di avvicinare il pubblico al mondo della fotografia e a ciò che vi ruota attorno come l’editoria indipendente e i libri di design. Lo spazio ridotto diventa non solo un punto d’incontro tra discipline adiacenti, che trovano nella loro contaminazione inediti scenari, ma la possibilità di poter fare un’esperienza totalmente immersiva. Small Small Place è in continua evoluzione: un posto a metà tra galleria dedicata alla narrazione per immagini e project space multidisciplinare. L’idea vincente è di Michele Foti che, insieme a Layuhl Jang, si occupa della curatela di mostre e progetti di respiro internazionale con particolare interesse verso le discipline artistiche trasversali. Dal 29 febbraio fino al 10 marzo, Small Small Space ospiterà la mostra personale del fotografo Giacomo Colombo dal titolo Horizon.

Small Small Space, courtesy of Federico Torra

Se invece volete immergervi totalmente nell’atmosfera di una vera Izakaya, la classica trattoria giapponese dovete fermarvi da Masayume Milano in zona Isola. Varcata la porta del ristorante, in Via Garigliano 9, sarete accolti da neon colorati, graffiti ed elementi pop della cultura nipponica. Un luogo informale, dove poter assaporare il vero cibo del paese del Sol Levante tra sapori della tradizione e suoni city pop. Masauyme in giapponese significa sogno che si realizza e, in effetti, chiudendo gli occhi si può dimenticare per un attimo di essere a Milano e immaginarsi in una trattoria di Tokyo. Seduti al bancone, che ha solo quattro posti, si possono gustare i famosi gyoza con le ali, che qui chiamano hanetsuki, i ramen, preparati con il brodo di pollo cotto dieci ore e i maze, ovvero i ramen asciutti serviti con verdure di stagione.

courtesy of Masaume

Se siete amanti della cucina vegana e vi piacciono le atmosfere intime e rarefatte, La Colubrina è il locale che fa per voi. In un ambiente accogliente illuminato da luci soffuse potrete gustare piatti semplici della cucina mediterranea reinterpretati da più di quarant’anni con estro creativo dalla signora Franca. Non perdetevi il “dolce della solitudine”, una torta a base di cioccolato che nasce da un’antica ricetta scovata e poi rielaborata in chiave vegan dalla proprietaria. Una storia affascinate che risale a qualche secolo fa, secondo cui il cuoco di un veliero pirata dopo aver preparato una torta a base di cacao, uvetta, nocciole e rum decise di mangiarla da solo in cambusa piuttosto che condividerla con i bucanieri. Poco importa che sia leggenda o realtà, certo è che questo dolce gluten free è diventato la vera specialità del locale.

courtesy of La Colubrina

Il nostro viaggio in solitaria si conclude con un drink al Backdoor 43, il bar più piccolo del mondo: solo quattro metri quadrati e solo quattro posti a sedere. Si accede su prenotazione da una porticina misteriosa situata al numero 43 di Ripa di Porta Ticinese.

Courtesy of Backdoor43

Ad attendervi in un’atmosfera di inizio Novecento ci sarà un barman mascherato e una lista di drink (solo otto) ispirati alle più piccole attrazioni del mondo. Purtroppo, il tempo di permanenza è limitato a una sola ora, ma se volete continuare la serata c’è sempre la possibilità di prendere un cocktail d’asporto tramite la finestrella sulla strada e di ammirare il Naviglio illuminato prima di fare ritorno a casa canticchiando Feeling Good di Nina Simone esattamente come fa Hirayama alla fine del film.

 
Pubblicato : 8 Febbraio 2024 05:45