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I nodi della mobilità romana e le soluzioni offerte dai mezzi in condivisione

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(@greenkiesta)
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Il mondo ha sperimentato cambiamenti fondamentali negli ultimi anni, soprattutto a causa della pandemia. Un fatto evidente soprattutto nell’evoluzione dell’urbanistica e della mobilità. Molti centri urbani europei stanno infatti attraversando una trasformazione significativa nei loro modelli di mobilità e nello sviluppo delle loro città. Storicamente Roma ha uno dei più alti tassi di proprietà di auto in Europa (sessantadue automobili ogni cento abitanti, secondo il report Ecosistema Mobilità Roma di Legambiente del 2022) e affronta sfide continue legate alla congestione del traffico. Nel frattempo, la necessità di affrontare i problemi del cambiamento climatico e dell’inquinamento atmosferico ha portato a rivedere le strategie convenzionali di pianificazione urbana, che nel corso del XX erano legate a una concezione “autocentrica” della città. 

Forse è anche per questo che l’idea che un modello sostenibile come la sharing mobility potesse funzionare in una città storicamente refrattaria ai cambiamenti quale è Roma – per i romani e per chi la conosce davvero – deve essere sembrata una prospettiva assurda, l’ennesimo progetto europeo destinato a infrangersi contro la cruda realtà italica. Eppure, la sfida, per certi versi, è stata superata, e oggi cittadini e turisti hanno a disposizione un ampio parco di veicoli in condivisione diventati – al di là delle criticità nella loro gestione – parte integrante del tessuto urbano della Capitale.

La sharing mobility è un modello di mobilità che ruota intorno alla condivisione dei mezzi per spostarsi. Si tratta di un modello socio-economico che ha trovato vasta diffusione in alcuni Paesi europei (specialmente quelli già virtuosi sotto il profilo della sostenibilità), e che è stato introdotto in quasi tutte le maggiori città italiane a partire dagli anni Duemila, con risultati altalenanti. 

Lo sviluppo della mobilità condivisa nella capitale
Il car sharing, per esempio, è stato introdotto a Roma a marzo del 2005, nell’ambito di un progetto finanziato dalla Commissione europea; nonostante la timida capillarità nella distribuzione dei veicoli sul territorio comunale nella fase iniziale, la misura si è rivelata inaspettatamente di successo, riscontrando una certa popolarità tra i romani, tanto da portare gli operatori di car sharing a triplicare il numero di automobili messe a disposizione dalle trentacinque unità del 2008 alle centosei del 2011.

Ancora più popolari, stando all’ultimo rapporto sulla sharing mobility dell’Osservatorio Nazionale sulla Sharing Mobility, sono i monopattini e le biciclette, entrati a gamba tesa nel dibattito politico per i problemi relativi alla sicurezza del loro utilizzo, fino alla proposta di Salvini – che verrà votata a giorni alla Camera – sulla riforma del codice della strada. Quest’ultima ha introdotto norme specifiche per la loro circolazione: una circostanza che comunque non sembra aver rallentato in modo radicale la loro diffusione sul suolo romano. In caso di approvazione della norma, ad esempio, casco, targa e assicurazione diventeranno immediatamente obbligatori per tutti i monopattini elettrici. 

Secondo una rilevazione dell’Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici di Roma, i veicoli in sharing attivi nella capitale sono quasi trentamila, divisi in circa duemila autovetture, tremiladuecento scooter elettrici, diecimila biciclette a pedalata assistita e quattordicimilacinquecento monopattini elettrici.

L’espansione dell’areale di distribuzione dei veicoli in sharing mobility ha permesso, negli anni, di far accedere al servizio sempre più persone, tanto da portare l’amministrazione a prevederne l’espansione oltre il “limite fisico” del Grande raccordo anulare (Gra), come indicato dalle nuove linee guida che l’amministrazione Gualtieri e la giunta di Roma Capitale hanno già approvato circa un anno fa.

Una notizia, quella del superamento del Gra, che è di particolare rilevanza dal punto di vista della mobilità: aree come il Municipio X – ma anche aree non integralmente municipalizzate, come Case Rosse e La Storta – potrebbero finalmente ritrovarsi parzialmente riallacciate al sistema urbano principale, facendo della sharing mobility – in collaborazione con una programmazione a lungo termine per interventi organici in tal senso – uno strumento complementare ad un piano di mobilità complessiva.

In altre città europee dove il nodo della mobilità è affrontato in modo più organico si sono raggiunti risultati importanti anche in termini di risparmio di CO2, che rimane comunque un fattore ’accessorio’ rispetto ai vantaggi offerti dal mobility sharing in termini di qualità dei trasporti e riduzione del traffico veicolare. Ovviamente la situazione non è del tutto rose e fiori, e affermare che questo fenomeno sia una realtà che interessa la totalità dei romani sarebbe aleatorio, oltre che inesatto – le lamentele circa la gestione e il cattivo utilizzo di questi mezzi non sono mancate, così come le palesi criticità, in termini di decoro urbano, per le negligenze di alcuni gestori. 

Gli incidenti e la prudenza di Gualtieri 
Anche i dati sugli incidenti sono stati sollevati a strumento critico dai detrattori della mobilità in condivisione, sebbene dal rapporto 2023 dell’Osservatorio nazionale sulla sharing mobility emerga un quadro di tendenza piuttosto confortante, considerando che «per quanto riguarda gli incidenti ogni centomila noleggi si riscontra, rispetto al 2021, un calo generale». Parliamo di una riduzione del cinquantasei per cento per i monopattini, del cinquantadue per cento per gli scooter e del ventidue per cento per le bici. 

Gli incidenti hanno riguardato principalmente i monopattini elettrici (sui seicentotrentatre sinistri del 2022, trecentosettantadue sono avvenuti su monopattini), che al tempo delle rilevazioni erano poco regolamentati. Sono quindi numeri da contestualizzare nella prospettiva di trovarsi impantanati in un sistema urbano – come quello di Roma – dove le infrastrutture per la pedonalità e la ciclabilità non sono purtroppo adeguate. Ciò che rimane indiscutibile, al netto delle sopracitate criticità, è l’apporto – in termini di flessibilità e riduzione di gas serra e altri inquinanti – che questa tipologia di trasporto ha fornito al difficile assetto dei trasporti della Capitale.

In una città che si appresta ad affrontare la sfida del Giubileo del 2025, il nodo della mobilità dovrebbe essere centrale nella programmazione strategica delle scelte progettuali da intraprendere, sebbene l’inclusione di politiche relative alla mobilità in sharing non emerga nel “Programma degli interventi essenziali ed indifferibili nella città di Roma in preparazione del Giubileo 2025”.

L’amministrazione Gualtieri ha affrontato il nodo sharing mobility con un approccio piuttosto prudente, regolamentando i mezzi di micromobilità elettrica e prevedendo una concessione triennale dei servizi di sharing, facendo così una selezione – si spera, qualitativa – degli operatori di sharing, ma andando anche a ridurre il parco veicoli a disposizione per i cittadini. L’impressione generale è che, nonostante gli indubbi sforzi da parte dell’amministrazione, si fatichi a considerare la sharing mobility parte integrante del trasporto pubblico, e quindi degna di investimenti e piani per il futuro. 

Eppure Roma, essendo una città di una certa rilevanza, ovviamente non è l’ultima arrivata in tema di mobilità, e insieme a Milano è stata tra le poche città italiane ad adottare un Pums (Piano urbano della mobilità sostenibile), ossia un piano strategico volto a promuovere uno spostamento modale sostenibile e a migliorare la qualità della vita dei residenti e dei visitatori della città. 

Il Pums si concentra sullo sviluppo di obiettivi importanti come il miglioramento della ciclabilità, la pedonalità e l’intermodalità (la presenza di parcheggi scambiatori), nonché su importanti progetti per il trasporto pubblico. Ciononostante non si è fatto ancora abbastanza per integrare in questo complesso sistema decisionale con misure “parallele” come la sharing mobility, come si è invece fatto a Milano, dove la collaborazione tra l’Agenzia mobilità ambiente e territorio (Amat), Regione Lombardia e il Comune di Milano ha permesso di creare una flotta – il servizio BikeMi – direttamente convenzionata con Atm e parte integrante del tessuto connettivo della città. Si tratta di una soluzione che potrebbe funzionare anche per la Capitale, che ha tentato un approccio simile con il car sharing (gestito in parte anche da Roma Mobilità), sfruttando un modello che potrebbe essere facilmente applicato anche a biciclette e scooter.

I romani perdono quattro giorni l’anno bloccati nel traffico, e l’imminente Giubileo – nella speranza che attragga più visitatori di quanto non abbia fatto il Giubileo straordinario del 2015 – non può far altro che peggiorare il problema. In breve, la mobilità in condivisione non può essere da sola la soluzione ai nodi dei trasporti romani, ma non sfruttare a pieno i nuovi modelli di mobilità – anche alternativi alla sharing mobility – vuol dire privarsi di un’occasione preziosa per fare il tanto agognato “passo verso la modernità” che la Capitale attende da tempo.

 
Pubblicato : 12 Marzo 2024 05:45
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