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Insulti ai politici: dire parassita è diffamazione o diritti di critica?

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(@angelo-greco)
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Confine tra diritto di critica e diffamazione quando si parla di parlamentari o membri del Governo: secondo la Cassazione si può chiamare parassita il politico purché vengano spiegati i motivi.

Il linguaggio sui social e, più in generale, su internet è sempre molto diretto, specie quando si parla di politica. Le istituzioni diventano così bersaglio delle invettive e dell’insoddisfazione del popolo. Ma questa non può essere una giustificazione per l’utilizzo di frasi offensive. La critica deve esercitarsi sempre entro i confini della moderazione (la cosiddetta “continenza”). La Cassazione si è più volte pronunciata sull’uso della parla parassita come insulto i politici, spiegando se si tratta di diffamazione o se può invece rientrare nel diritto di critica. Approfondiamo l’argomento.

Dire “parassita” è diffamazione?

La Corte di Appello di Napoli, con sentenza n. 504/2023, ha ritenuto integrato il reato di diffamazione a mezzo stampa nella condotta di chi accusa un appartenente ad una fazione polita opposta di comportamenti parassitari della società. Secondo i giudici campani ciò travalica in maniera evidente i limiti della cronaca e della critica politica.

Secondo la Cassazione penale (sent. n. 46496/2023), nel contesto politico, la critica assume spesso toni aspri e vibrati e può assumere forme tanto più incisive e penetranti quanto più elevata è la posizione pubblica del destinatario. Tuttavia si può invocare il diritto di cronaca solo nel caso in cui l’espressione utilizzata ed espressa con toni aspri risultante offensiva sia strettamente connessa all’attività politica del soggetto passivo. E difatti il diritto alla libera manifestazione del pensiero non può mai prevalere sul rispetto della dignità personale degli individui (Cass. sent. n. 24686/2023).

Un precedente della Suprema Corte (sent. n. 48553/2011) ha stabilito che chiamare “parassita” un personaggio politico costituisce diffamazione a meno che si argomentino le ragioni dalle quali l’insulto è scaturito.

Perché vi sia esercizio del diritto di critica, è necessario che il giudizio (anche severo, anche irriverente) sia collegato col dato fattuale dal quale il “criticante” prende spunto. Altrimenti, il fatto rappresenta niente altro che occasione per sfogare sentimenti ostili verso persone che con esso non hanno relazione.

Pertanto, nel caso di specie, è stata confermata la condanna per diffamazione di un giornalista che, dopo aver dato conto del suicidio e del tentativo di suicidio di alcuni giovani disoccupati, parlava della situazione di degrado sociale del Meridione d’Italia e indicava due onorevoli come responsabili, definendoli “parassiti“. Per la Corte, queste parole sarebbero potute rientrate nel diritto di critica se espresse all’interno di un percorso argomentativo e come corollario di un ragionamento che, viceversa, nel caso in esame, mancava del tutto.

In altri termini, i giudici hanno ritenuto che l’epiteto “parassita”, in quanto rientrante nel diritto di critica, può essere liberamente espresso e considerato espressione di “folklore giornalistico” a patto che, però, vengano spiegate le ragioni di fatto su cui si fonda tale giudizio negativo (per esempio, riportando determinati discutibili atteggiamenti o discorsi della persona insultata).

Ciò perché, altrimenti, l’insulto non rappresenta un segno di critica costruttiva – intesa come “valutazione argomentata di condotte, espressioni o idee”-, ma semplicemente pretesto per esprimere odio verso il destinatario determinando così una lesione ingiustificata della reputazione altrui.

In sintesi, perché il comportamento rientri nel diritto di critica, è necessario che il giudizio espresso su una persona, anche se severo e irriverente, sia collegato con i fatti concreti dai quali il criticante prende spunto, al termine di un ragionamento logico e coerente.

Sempre la Cassazione [1], in un caso simile, ha confermato la sanzione disciplinare [2] a carico del presidente del Tribunale dei minori di Genova, reo di aver insultato, nel corso di una riunione dell’Associazione Nazionale Magistrati, l’ex presidente del consiglio S. Berlusconi e l’ex ministro della giustizia A. Alfano, chiamandoli “gaglioffi” (come sinonimo di “inetti”).

I giudici della Suprema Corte hanno sottolineato l’offensività del termine “gaglioffo”, utilizzato come sinonimo di “cialtrone, imbroglione, manigoldo, delinquente, avvezzo alla sopraffazione”.

Tale espressione, è stata ritenuta del tutto gratuita e non necessaria, nonostante i toni accesi e aspri che hanno caratterizzato la lotta politica-magistratura in materia di riforma della giustizia.

I confini del diritto di critica

La Cassazione, con sentenza n. 21651/2023, ha indicato quali debbano essere i presupposti del diritto di critica politica quale libera estrinsecazione del pensiero. In particolare, per ritenere lecita un’offesa, è necessario che siano rispettati i seguenti limiti:

  • la continenza verbale (ossia la moderazione dell’esposizione lessicale);
  • la verità dei fatti attribuiti alla persona offesa;
  • la sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti oggetto della critica.

Per quanto riguarda il concetto di verità della notizia non è necessario che essa sia “oggettiva” e già accertata. Può trattarsi anche di una verità “putativa”, purché la notizia sia frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca. Ciò non ricorre quando:

  • pur essendo veri i singoli fatti riferiti, vengano (anche colpevolmente) taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato;
  • oppure quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive o da sottintesi accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi idonei a creare nella mente del lettore (od ascoltatore) rappresentazioni della realtà oggettiva false.

Insomma, l’esercizio del diritto di critica deve essere connotato non soltanto dalla verità della notizia, ma anche dall’astensione dall’impiego di maliziose ambiguità e di espressioni potenzialmente fuorvianti.

Cosa significa continenza

Se, da un lato, la critica consente l’utilizzo di un linguaggio graffiante o colorito ed in particolare la critica politica si caratterizza per l’uso di toni anche più aspri, pungenti ed incisivi rispetto a quelli comunemente usati, ciò deve pur sempre avvenire nel rispetto della continenza, ossia senza superare i limiti di quanto strettamente necessario all’espressione della propria opinione (Trib. Terni sent. n. 475/2023).

La critica deve esprimere un dissenso ragionato sulle opinioni o sui comportamenti del soggetto preso di mira, senza trascendere in contumelie, in affermazioni ingiuriose o in attacchi offensivi o denigratori, ovvero in espressioni volte a colpire la figura morale della persona criticata.

 
Pubblicato : 3 Gennaio 2024 10:35
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