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Chi sono gli informatori di polizia?

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(@mariano-acquaviva)
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Le informazioni dei confidenti possono essere utilizzate nel processo penale a carico dell’imputato? Le fonti possono rimanere anonime?

Le forze dell’ordine possono avvalersi di numerosi strumenti per portare a compimento le investigazioni a loro affidate dal pubblico ministero. Ad esempio, la polizia può sentire a sommarie informazioni le persone che possono riferire circostanze utili, può effettuare ispezioni e perquisizioni e, se autorizzata, può perfino intercettare le conversazioni altrui. È in questo contesto che si inserisce il seguente quesito: chi sono gli informatori di polizia?

Sin da subito va detto che questi soggetti sono anche denominati “confidenti”, in quanto il loro compito è quello di fornire preziose informazioni alle forze dell’ordine, anche dietro pagamento. Si pensi ai classici polizieschi in cui l’agente, rigorosamente in incognito, si reca nei quartieri malfamati per avere notizie da un suo “uomo di fiducia”.

Secondo la legge, ciò che viene riferito dagli informatori può essere formalmente utilizzato in giudizio solamente se gli stessi accettano di testimoniare. Cosa significa ciò? Approfondiamo la questione.

Informatori di polizia: chi sono?

Gli informatori sono persone che riferiscono alla polizia notizie di interesse per le investigazioni che sono in atto.

Come detto, sono anche chiamati confidenti, per via delle informazioni riservate di cui sono in genere rivelatori.

Spesso tra informatori e polizia si crea un vero legame di fiducia, nel senso che i primi si propongono di collaborare con una certa costanza, in cambio di benefici vari e, soprattutto, dell’anonimato. Di tanto parleremo nel prosieguo.

Quanto guadagna un informatore?

Fare l’informatore non è un mestiere, nel senso che non è un lavoro riconosciuto dalla legge e, pertanto, stipendiato.

Tuttavia, nella prassi è possibile che la polizia, pur di ottenere preziose informazioni utili per la prosecuzione delle indagini, sia disposta a pagare una certa somma di denaro in cambio di una “soffiata”.

Film e telefilm ci mostrano come le forze dell’ordine, in cambio di informazioni, siano disposte a chiudere un occhio sui crimini commessi dal confidente.

In realtà, questo tipo di condotta sarebbe illegale poiché i poliziotti, in quanto pubblici ufficiali, sono obbligati a perseguire ogni reato a cui assistono. Garantire l’impunità agli informatori sarebbe quindi illegittimo.

Cos’è l’informativa di polizia?

Le informazioni riferite dai confidenti non devono essere confuse con l’informativa di polizia, la quale altro non è che la comunicazione, fatta per iscritto dalle forze dell’ordine, di una notizia di reato.

In pratica, l’informativa è ciò, che un tempo, veniva chiamato “rapporto di polizia”, cioè l’atto con cui le forze dell’ordine segnalano un fatto che presenta i connotati del reato.

La polizia deve fare i nomi dei propri informatori?

La legge tutela l’anonimato degli informatori permettendo alla polizia di non svelare la loro identità [1]. Si tratta di una particolare applicazione del segreto d’ufficio che consente alle forze dell’ordine di mantenere il massimo riserbo sulla fonte da cui hanno appreso determinate informazioni che si sono rivelate utili per le indagini.

Nemmeno il giudice può quindi obbligare la polizia a svelare l’identità degli informatori, i quali dunque rappresentano una vera e propria “arma segreta” nelle mani delle forze dell’ordine.

Si possono utilizzare le informazioni dei confidenti?

La polizia può sicuramente avvalersi delle informazioni dei propri confidenti, magari per portare avanti le indagini che, altrimenti, si troverebbero a un punto morto.

Si pensi ad esempio alla soffiata dell’informatore che suggerisce alla polizia di visitare un certo locale in cui, con molta probabilità, troverà la droga che cerca.

La legge pone tuttavia delle limitazioni all’impiego di tali “fonti”: se infatti i confidenti non sono esaminati come testimoni, le informazioni da essi fornite non possono essere formalmente acquisite né utilizzate durante il processo.

Si tratta dell’applicazione del principio del contraddittorio nella formazione della prova, secondo cui ogni tipo di elemento a carico dell’imputato deve essere valutato dal giudice solamente a seguito del confronto tra accusa e difesa, cioè tra pubblico ministero e avvocato.

Pertanto, se un informatore dice di aver visto il ladro mentre commetteva il furto di cui è accusato, non si potrà condannare l’imputato sulla base di un’accusa anonima.

Lo stesso dicasi se il confidente rivela fatti importantissimi per la ricostruzione della vicenda delittuosa di cui, però, non c’è altro riscontro esterno oltre alla narrazione del confidente stesso.

Insomma: gli informatori di polizia possono essere utilizzati per ottenere notizie in grado di indirizzare le indagini, magari quando le investigazioni sono “in alto mare”, ma non possono entrare nel processo come mezzi di prova, a meno che detti confidenti non siano disposti a rendere una formale testimonianza.

 
Pubblicato : 3 Settembre 2023 09:45