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Assemblea senza quorum: l’amministratore deve dimettersi?

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(@mariano-acquaviva)
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Se l’assemblea condominiale non raggiunge il quorum – né in prima, né in seconda convocazione e nemmeno nelle successive assemblee regolarmente convocate – cosa deve fare l’amministratore condominiale: dimettersi? Se no: perché?

La stasi assembleare non costringe l’amministratore alle dimissioni.

Secondo il codice civile, l’amministratore può occuparsi della gestione ordinaria dell’edificio senza dover chiedere il consenso dell’assemblea.

Egli può quindi riscuotere gli oneri e pagare le spese condominiali anche se l’assemblea non si riunisce; nell’esercizio di tale compito può basarsi anche sull’ultimo rendiconto preventivo approvato.

In effetti, l’obbligo di pagare le spese condominiali deriva dal fatto stesso di essere proprietari di un’unità immobiliare (cosiddetta obbligazione “propter rem”), prescindendo da qualsiasi formale approvazione del consuntivo da parte dell’assemblea.

Le spese ordinarie previste all’interno di contratti di durata pluriennale (ad esempio, il contratto del portiere, della manutenzione dell’ascensore, ecc.) non necessitano nemmeno dell’approvazione finale, visto che sono somme pacifiche sulle quali l’assemblea potrebbe esprimersi solo per certificare delle uscite già note.

In altre parole, l’approvazione di voci di spesa contenute in altri documenti scritti non è indispensabile, a meno che non vi siano degli scostamenti (da dimostrare).

La mancata approvazione del bilancio rende però più difficoltoso il recupero dei crediti nei confronti dei condòmini morosi, in quanto l’amministratore non potrà servirsi del decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, il quale si basa sull’approvazione dello stato di ripartizione (così l’art. 63, disp. att. c.c.)

Ciò non vuol dire che l’amministratore non possa agire contro i morosi, ma solamente che non può farlo con il rimedio, veloce ed efficace, costituito dal decreto d’ingiunzione esecutivo nonostante l’opposizione.

Ai sensi dell’art. 1135, comma secondo, c.c., l’amministratore può anche occuparsi della manutenzione straordinaria urgente senza il previo consenso dell’adunanza.

Di fatto, l’unica cosa che rimane preclusa all’amministratore sono gli interventi di manutenzione straordinaria non urgenti (Superbonus, ecc.), per il quale occorre sempre l’autorizzazione dell’assemblea.

Nemmeno l’amministratore è costretto a dimettersi per omessa conferma del suo incarico. Com’è noto, il mandato dell’amministratore, alla scadenza annuale, si rinnova per un altro anno: dopodiché, se l’assemblea non dovesse procedere alla conferma né alla sostituzione, l’amministratore continua a rimanere in carica in regime di “prorogatio imperii”, per eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni, senza diritto ad ulteriori compensi (art. 1129, ottavo comma, c.c.).

Secondo la giurisprudenza, l’amministratore in prorogatio gode degli stessi poteri di quello regolarmente in carica; pertanto, l’amministratore “ad interim” potrà comunque continuare a gestire il condominio, almeno con ciò che riguarda gli affari ordinari e quelli straordinari ma urgenti.

L’art. 1129 c.c. è molto chiaro nel vietare all’amministratore in prorogatio il compenso per l’attività svolta.

In questo senso anche la giurisprudenza (Cass., 17 maggio 2018 n. 12120) secondo cui, una volta cessato l’incarico, l’amministratore non può chiedere di essere pagato: non può cioè rivendicare alcun compenso per le opere prestate durante il “periodo transitorio” che va dalla scadenza del suo mandato alla sua materiale sostituzione.

L’amministratore in prorogatio ha però facoltà di chiedere ai condòmini il rimborso delle spese anticipate in questo lasso temporale a favore del condominio (Trib. Torino, 29 gennaio 2016 n. 544.); delle predette, però, deve fornire debita prova.

Se, poi, la nomina di un amministratore è obbligatoria perché l’edificio consta di almeno nove condòmini, l’amministratore dimissionario potrebbe rivolgersi direttamente all’autorità giudiziaria affinché proceda alla designazione di un nuovo amministratore, stante la stasi dell’assemblea (art. 1129, comma primo, c.c.).

In buona sostanza, l’amministratore potrebbe gestire un condominio anche senza il supporto dell’assemblea.

Va poi ricordato l’ultimo comma dell’art. 1105 c.c., secondo il quale «Se non si prendono i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero, se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria. Questa provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore».

Si tratta di un rimedio a cui si può fare ricorso anche in ambito condominiale: ciascun condomino, nel caso in cui l’assemblea non adotti gli opportuni provvedimenti, può fare ricorso al giudice affinché sia quest’ultimo a ordinare l’esecuzione degli atti indispensabili per la compagine.

Si ritiene che tale rimedio non sia esperibile da parte dell’amministratore: l’art. 1105 c.c., infatti, fa espresso riferimento a coloro che partecipano alla comunione (nel nostro caso, i condòmini).

 
Pubblicato : 9 Marzo 2024 08:30