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L’ipocrita condanna di Israele e la leggerezza nel (non) giudicare Hamas

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(@simona-bonfante)
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Le piazze, ovunque nel mondo occidentale, sono piene di gente convinta che Hamas sia un movimento di resistenza, che la guerra a Gaza l’abbia scatenata Israele, che Israele sia responsabile di genocidio, che le donne debbano battersi per Hamas che si batte contro Israele – in nome della liberazione delle donne dal patriarcato.

Non solo le piazze. Giornali, tv, social, università, artisti, sportivi, influencer, movimenti Lgbtq+ assumono l’inequivocabile scelta di campo anticolonialista, ergo antisionista, per liberare la Palestina e restituire finalmente ai palestinesi il maltolto, la loro terra.

Le femministe italiane hanno dedicato l’8 marzo a manifestare contro Israele. Anche loro vedono nei maschi di Hamas i liberatori delle donne palestinesi dal patriarcato – che è tutt’uno con il colonialismo e il razzismo e l’apartheid, cioè con Israele.

E sempre in nome della liberazione della donna palestinese dall’occupazione sionista, alcuni giovani anticolonialisti di Firenze hanno impedito la presentazione di un libro – “Golda” – biografia di una donna immensa, la socialista ucraina sionista prima e unica primo ministro donna di Israele, Golda Meir, scritto dalla giornalista Elisabetta Fiorito.

Il prossimo evento, la prossima celebrazione collettiva della liberazione dal sionismo, magari sarà un bel falò. Sì, liberiamoci dei libri, dalla letteratura, la storia, l’arte, il pensiero, la scienza sioniste.

Intanto la Columbia University ha aperto un’inchiesta su un professore ebreo che denuncia le intimidazioni, le aggressioni, le violenze che dal 7 ottobre vengono inflitte a studenti e insegnanti ebrei, e denuncia anche le connivenze dei vertici del Campus. Ebbene indagano questo professore, non chi compie le abominevoli aggressioni antisemite.

La rappresentazione delle cose su Israele e Palestina è troppo perfetta e consolidata, troppo abilmente costruita, troppo plasticamente confermata dalle immagini di morte e devastazione che da cinque mesi ci raggiungono da Gaza per immaginare di poterla scalfire, con la ragione o anche solo col dubbio.

Nessuno è interessato a leggere lo statuto di Hamas, che riconosce un unico Stato in Palestina, lo Stato Islamico. E perché perder tempo a riflettere sul fatto che da quindici anni al potere, Hamas a Gaza ha imposto la legge islamica basata sulla Shari’a, liquidato fisicamente gli oppositori, coperto le donne col velo, speso fiumi di denaro in infrastrutture e arsenali militari e nei tunnel in cui riparare i leader del movimento di liberazione jihadista dalle bombe israeliane.

E chi se ne frega, poi, se nel pianificare il 7 ottobre, Hamas si attendeva in risposta esattamente quello che il governo Netanyahu gli ha dato: macerie e cadaveri da esporre al mondo come “prova” del genocidio, dell’occupazione, del colonialismo e dell’apartheid.

E non ci frega neanche degli ostaggi israeliani, vivi e cadaveri, da cinque mesi nelle mani di Hamas, delle donne, dei vecchi, dei ragazzini che nessuna operazione militare potrà mai restituire alla libertà. Solo Hamas può.

Intanto Hamas ha detto “no” all’accordo con Israele per una tregua che avrebbe potuto cominciare subito, prima del Ramadan, e avrebbe potuto, da subito, alleviare la sofferenza sterminata alla popolazione civile di Gaza. Il leader di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar, vuole che la guerra continui durante il Ramadan perché vuole che la festa religiosa musulmana sia la scintilla per far esplodere la Cisgiordania e da lì le piazze arabe nel più esteso Medio Oriente. Ed è probabile che lo avrà. La certezza è che anche questa criminale, cinica scelta di morte di Hamas sia assunta, dalle nostre piazze e le nostre società civili, come ulteriore prova della colpa ontologica di Israele: esistere. Questi sono i fatti. Serve ancora discuterli?

 
Pubblicato : 12 Marzo 2024 05:45