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Al Teatro Parenti va in scena la transizione energetica

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(@monica-colombera)
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L’emergenza climatica e la lotta al riscaldamento globale costituiscono una priorità per l’agenda politica europea. Nel dicembre 2019, a pochi mesi dall’insediamento di Ursula von der Leyen, la Commissione ha adottato il Green New Deal, che ha fissato l’obiettivo del raggiungimento della neutralità carbonica nel 2050 e una riduzione netta delle emissioni del quarantacinque per cento entro il 2030 rispetto ai livelli di emissioni del 1990.

Le ambizioni europee si sono innalzate nel 2021 con il provvedimento Fit-for-55, che ha incrementato il target di riduzioni delle emissioni al cinquantacinque per cento e ha disegnato una serie di misure implementative che vanno dal raggiungimento della percentuale del quaranta per cento di rinnovabili entro il 2030 all’allargamento dell’Emission trading system (Ets), fino all’introduzione del Carbon Border Adjustment Mechanism – un sistema di quote volte a evitare il carbon leakage derivante dalla delocalizzazione di produzioni in Paesi extra Ue che abbiano una legislazione meno stringente in materia di limiti emissivi di gas climalteranti.

Lo scopo dichiarato delle misure è quello di incentivare le aziende ad adottare tecnologie sostenibili e di assicurare un’equa concorrenza tra le imprese dell’Unione europea (e tra queste e le imprese non europee).

Il Green Deal è stato salutato da taluni con entusiasmo in ragione della scelta di Bruxelles di intestarsi un ruolo di precursore nel fissare obiettivi sfidanti e declinare le misure per il raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2050 in linea con le previsioni dell’Accordi di Parigi del 2015, che vincola quasi duecento Paesi a limitare l’innalzamento climatico entro 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali.

Altri hanno criticato, anche aspramente, l’approccio del Green Deal e i singoli provvedimenti adottati da Commissione e Consiglio. In particolare, chi ha criticato la politica europea sulla transizione energetica ha ritenuto i singoli provvedimenti carenti del necessario processo istruttorio di analisi di fattibilità, anche sotto il profilo dei costi economico-sociali legati alla loro attuazione. Si pensi al dibattito e alle polemiche che ha generato la Direttiva case green per l’impatto sulle famiglie disagiate, proprietarie di edifici energeticamente meno efficienti; ma, anche, alla direttiva sulle auto elettriche che impone il divieto di immatricolazione di auto con il motore a scoppio a partire dal 2035.

Comunque si valuti l’operato delle istituzioni europee in materia di politica ambientale e di lotta al climate change, la gestione europea unitaria delle politiche della transizione energetica è requisito fondamentale per affrontare la sfida. L’economista premio Nobel Joseph Stiglitz ha recentemente ricordato che – come tutte le crisi – l’emergenza climatica richiede la capacità di avere uno sguardo di lungo periodo per programmare una transizione che tenga conto della sostenibilità e della sicurezza energetica senza tralasciare gli impatti socio-economici che derivano dalla transizione. Le derive nazionaliste e populiste che cavalcano il malcontento a fini elettorali e di mero posizionamento all’interno dei confini di un singolo Stato fanno paura e – laddove prevalessero nelle prossime elezioni europee – potrebbero tradursi in una pericolosa battuta d’arresto nel processo di decarbonizzazione e di definizione di una politica ambientale ed energetica capace di guardare lontano.

La politica comunitaria è stata definita – credo non a torto – come «bulimia regolatoria» (Alberto Clo’ su Energia, n.3/2023) ma la risposta non è una contrazione del ruolo delle istituzioni comunitarie, bensì un rafforzamento del funzionamento del processo democratico europeo perché sia dia attuazione a una transizione giusta, capace di coniugare sostenibilità con progresso tecnologico e giustizia sociale. Non a caso, la carta firmata da grandi energivori ad Anversa il 20 febbraio invoca una regia europea coordinata tra politiche ambientali sostenibili e politica industriale comune.

Una politica europea unitaria è necessaria per molteplici ragioni. Si pensi alle tematiche geopolitiche causate dall’invasione russa dell’Ucraina, alla quale l’Unione europea ha risposto tempestivamente con il provvedimento Repower EU per adattare il processo di transizione alla crisi energetica. E si pensi anche alla necessità di dare risposte alla posizione dominante della Cina nella capacità produttiva di pannelli solari, che oggi rappresenta l’ottanta per cento della capacità mondiale, o al tema dell’approvvigionamento delle materie prime critiche fondamentali per lo sviluppo di tecnologie sostenibili e compatibili con gli obiettivi di transizione.

Considerato inoltre che la lotta al cambiamento climatico è una sfida globale che richiede la convergenza di diverse aree del mondo, tra loro non omogenee, la presenza di un’Europa forte e autorevole alle prossime Cop è un presupposto fondamentale poter convincere i Paesi ancora fortemente dipendenti dalle fonti fossili che la crescita economica non è incompatibile con la riduzione delle emissioni.

La necessità di una regia e coordinamento comunitario è altresì essenziale per superare gli effetti negativi che derivano da un diverso approccio degli Stati Membri al mix tecnologico. Il confronto tra Francia e Germania è emblematico: la scelta della Germania di abbandonare il nucleare per ragioni di politica nazionale, che ha portato paradossalmente all’incremento dell’impiego del carbone – combustibile fossile con il maggior impatto climalterante – si contrappone alla politica francese di maggior valorizzazione del nucleare nel mix energetico e non agevola la creazione di un mercato unico europeo dell’energia.

La speranza è che il prossimo Parlamento europeo esprima continuità in merito alla priorità che le politiche di transizione devono rivestire nell’agenda politica e sappia mettere in campo le migliori energie affinché la transizione costituisca anche un’opportunità per progresso tecnologico, crescita economica e giustizia sociale.

Il Teatro Franco Parenti organizza otto incontri sulle sfide che (solo) un’Europa più unita può vincere, una rassegna dal titolo “Una grande Europa o tante piccole nazioni?” Lunedì 26 febbraio alle 18,30 si terrà il quarto appuntamento nel percorso di avvicinamento alle elezioni europee dedicato al climate change e alla transizione energetica. Si discuterà di Green Deal europeo e dell’importanza di una gestione unitaria che richiede la capacità dell’Europa di essere un attore autorevole nel complesso processo verso il net zero.

 
Pubblicato : 23 Febbraio 2024 05:45