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Si può licenziare un dipendente condannato in passato

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(@angelo-greco)
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La condanna penale per un reato commesso prima dell’assunzione può avere rilievo disciplinare?

Qualora un datore di lavoro venisse a conoscenza che un dipendente ha subito una condanna penale prima di essere assunto, sarebbe legittimo un licenziamento basato esclusivamente su tale fatto, a prescindere dalla gravità del reato commesso? È sufficiente aver scontato la pena per considerarsi riabilitati agli occhi della società? Inoltre, se durante il colloquio di lavoro il datore non ha richiesto al candidato di presentare il certificato del casellario giudiziario o non ha indagato su possibili precedenti penali, era obbligo del candidato rivelare la propria condizione di ex pregiudicato? Questa tematica, di notevole interesse, è stata esaminata dalla Cassazione nella sentenza n. 4458/2024. Vediamo dunque se si può licenziare un dipendente condannato in passato. Ma per farlo dobbiamo partire da quelli che sono i tradizionali insegnamenti della giurisprudenza.

Si può licenziare un dipendente per condotte commesse fuori dal lavoro?

Il licenziamento disciplinare – quello cioè determinato da un comportamento del dipendente che rompe in modo definitivo e irrimediabile il rapporto di fiducia col datore – non deve per forza collegarsi a condotte commesse nell’espletamento delle mansioni. Anche un illecito extralavorativo come una condanna penale per un reato di particolare disvalore o allarme sociale può determinare il licenziamento.

Addirittura il datore può anche sospendere il dipendente in via cautelare in attesa della decisione del giudice penale per poi prendere una decisione definitivo all’esito della sentenza.

Sul punto leggi Chi viene condannato penalmente perde il lavoro?

Si può licenziare un dipendente per condotte poste prima dell’assunzione?

Secondo la Cassazione, bisogna distinguere due ipotesi:

  • fatti anteriori all’assunzione con condanna dopo l’assunzione;
  • fatti anteriori all’assunzione con condanna successiva l’assunzione.

Nel primo caso, il licenziamento è legittimo se la condotta posta in essere dal dipendente è particolarmente grave, tale cioè da influire sulla prestazione lavorativa e/o determinare discredito sociale per l’azienda (si pensi al dipendente di una scuola per bambini condannato per molestie ai danni di un minore).

Nel secondo caso il licenziamento è illegittimo a meno che non si dia prova che la personalità del lavoratore possa compromettere i successivi adempimenti dello stesso.

Si può licenziare un dipendente che ha già scontato la condanna?

E se il reato è grave come, ad esempio, l’associazione mafiosa? Era proprio questo il caso analizzato dalla sezione lavoro della Cassazione con la pronuncia in commento. La Corte, in proposito, ha stabilito che un lavoratore, precedentemente licenziato per via di una condanna legata al codice 416 bis del codice penale (appunto, per “mafia”), deve essere reintegrato e risarcito. Questa decisione pone l’accento sull’irrilevanza, ai fini del rapporto lavorativo, di condanne pregresse che non influenzano la capacità del dipendente di adempiere ai propri doveri contrattuali.

La sentenza sottolinea un principio fondamentale: l’esclusione di un lavoratore dal proprio posto di lavoro, basata unicamente su precedenti penali, contrasta con i diritti di reinserimento garantiti dall’articolo 27 della Costituzione Italiana.

Leggi anche Licenziamento per fatti precedenti all’assunzione: è legale?

Quali sono i diritti del dipendente?

Secondo la Cassazione, se in casi del genere il giudice ritiene illegittimo il licenziamento, il lavoratore ha diritto alla reintegra. Anche alla luce del Jobs Act, la reintegrazione è giustificata quando l’evento contestato non ha implicazioni disciplinari significative, come stabilito dall’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 23 del 4 marzo 2015.

La vicenda

Il caso in esame riguardava fatti avvenuti oltre tre decenni fa, con una condanna per associazione mafiosa divenuta definitiva prima dell’inizio del rapporto lavorativo. Il dipendente, che aveva svolto per anni il ruolo di autista senza potere decisionale o gerarchico, non aveva mai ricevuto addebiti di condotta inappropriata.

La sua posizione non suggeriva quindi rischi di infiltrazioni criminali, né sono state provate, nel corso del giudizio, la sua pericolosità sociale o la necessità di sorveglianza speciale.

Pertanto, secondo la Corte, i fatti storici non potevano minare il rapporto fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro.

La sentenza ha imposto all’azienda di compensare il dipendente con un indennizzo pari a dodici mensilità e di ripristinare la sua posizione lavorativa. Questo verdetto evidenzia come episodi estranei all’ambito lavorativo possano acquisire rilevanza disciplinare solo se si verificano durante il rapporto di lavoro e sono connessi alle responsabilità professionali.

Le conclusioni

La risoluzione del rapporto lavorativo può avvenire in seguito alla condanna penale del lavoratore per fatti antecedenti all’assunzione qualora tali fatti compromettano il rapporto fiduciario aziendale-dipendente, elemento cruciale per la cooperazione lavorativa.

 
Pubblicato : 21 Febbraio 2024 10:00