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Quali azioni intraprendere in caso di diffamazione sui social?

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(@angelo-greco)
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Offese online, come difendersi, come denunciare e ottenere il risarcimento del danno.

Se sei stato vittima di diffamazione sui social network e intendi agire contro il responsabile, ci sono alcune questioni di particolare importanza che devi tenere presente. Devi innanzitutto comprendere come si fa a stabilire se una frase è diffamazione (e questo implica conoscere i confini del diritto di critica). Devi poi sapere quali azioni intraprendere in caso di diffamazione sui social: puoi infatti avviare una causa penale, una civile o addirittura entrambe. Infine devi stabilire se e quando conviene agire in via giudiziale sostenendo le spese legali che ciò comporta.

Senza sostituirti al tuo avvocato, che di certo saprà meglio consigliarti su cosa fare in caso di diffamazione online, su come far cessare l’abuso e soprattutto su come ottenere il risarcimento del danno, è necessario che quantomeno tu sia informato dei tuoi diritti. Di tanto parleremo in questo articolo.

Cosa è diffamazione online?

Si può parlare di diffamazione online solo se, nel momento in cui il post o il commento viene pubblicato, tu sei offline. Non importa se ti connetti dopo pochi minuti.

Se invece l’offesa si inserisce in un contesto di “botta e risposta” tra due persone contestualmente online non c’è più diffamazione ma ingiuria. L’ingiuria non è un reato ma un semplice illecito civile che non sempre ti garantisce di ottenere un risarcimento tale da giustificare l’affanno e le spese legali per l’azione.

In secondo luogo, affinché scatti la diffamazione è necessario che la frase integri un’offesa alla tua reputazione personale o professionale. Qui devi raggiungere un grado di maturità e obiettività che non tutti hanno quando si sentono feriti nell’orgoglio. A volte infatti si scambia per diffamazione ciò che è una semplice critica. Ma è anche vero che molte persone, ritenendo di esercitare un diritto costituzionale (la libertà di espressione) travalicano i limiti della moderazione e sconfinano nell’illecito penale.

In linea generale, la diffamazione scatta quando lo scopo di chi agisce è mettere alla berlina il destinatario della frase, attaccarlo sul piano personale e non semplicemente esprimere un giudizio sul suo operato.

Dire che “un libro non è bello” è lecito, ma dire che il suo scrittore è un incompetente è diffamazione.

Affermare che un ristorante è caro o non è all’altezza delle recensioni non è diffamazione; lo sarebbe però se si dicesse che il proprietario è un truffatore.

Dire pubblicamente che un politico ha un programma discutibile e che le sue proposte di legge favoriscono una determinata classe non è reato. Lo sarebbe se si dicesse che lo stesso è un pagliaccio, un lestofante, un corrotto.

Insomma, la frase deve offendere l’onore o la reputazione della persona, in modo da farla apparire disprezzabile agli occhi degli altri.

La frase non deve contenere fatti specifici. È diffamazione (anche se punita meno severamente) affermare fatti generici. Ad esempio, dire “Tizio è un ladro” è più diffamatorio di dire “Tizio è una persona poco affidabile”.

La frase diffamatoria deve essere falsa. Se la frase è vera, non è diffamatoria, anche se offensiva. Quindi affermare che Caio è stato condannato per spaccio di droga non configura diffamazione, sempre a patto che la notizia sia ancora attuale o di pubblico interesse (diversamente interverrebbe il diritto all’oblio).

Che fare se si è vittima di diffamazione?

Prima di valutare un’azione legale contro il responsabile è possibile contattare un avvocato affinché gli invii una lettera di diffida chiedendogli la rimozione del post e un risarcimento del danno.

L’indirizzo del reo potrà essere acquisito presso il Comune di residenza a cui si risale tramite le informazioni reperite dal profilo social. I Comuni sono tenuti a fornire tali dati senza che vi sia obbligo di motivazione.

Se queste informazioni dovessero essere ignote (come nel caso di un profilo fake o con un nickname) bisognerà sporgere la querela: le autorità infatti hanno dei poteri di indagine che spesso non rientrano in quelli dei privati.

La diffida comunque non è necessaria.

Come agire contro il responsabile della diffamazione?

Se il colpevole non risponde alla diffida o se si preferisce evitare il contatto preliminare con questi, si potrà adire le vie legali. A tal fine ci sono diverse chances.

La vittima di diffamazione sui social può innanzitutto sporgere querela entro tre mesi da quando ha avuto conoscenza del fatto. La querela richiede lo screenshot del post o del commento e può essere presentata alla Polizia Postale, ai Carabinieri o direttamente alla Procura della Repubblica. Non è necessario un avvocato (ma la sua assistenza è consigliabile).

La querela farà partire le indagini e il processo penale.

Non è necessario che la vittima sia “presente” al processo ma deve farlo se intende ottenere anche il risarcimento del danno. In tal caso infatti deve costituirsi parte civile con un avvocato. Il giudice liquiderà un risarcimento forfettario; ma per la corretta e completa quantificazione dell’importo la vittima potrà avviare successivamente (ma non è obbligata a farlo) anche una causa civile avendo come prova inconfutabile il “giudicato” penale. Il fatto storico quindi non dovrà essere accertato nuovamente, sicché il giudizio avrà ad oggetto solo la corretta quantificazione del danno.

Nel giudizio penale, l’identificazione del colpevole avviene ad opera della Procura della Repubblica che acquisisce le generalità del reo attraverso una indagine sul social stesso e l’acquisizione della residenza al Comune ove questi vive (spesso individuabile proprio attraverso l’account social).

La richiesta di risarcimento del danno in caso di diffamazione

In alternativa all’azione penale, la vittima può limitarsi ad agire con una causa civile finalizzata ad ottenere solo il risarcimento del danno. In questo caso il termine di prescrizione è di cinque anni dal fatto.

Nella causa il giudice deciderà il risarcimento sulla base di una serie di parametri quali, ad esempio:

  • la gravità dell’affermazione denigratoria;
  • la veridicità del fatto imputato alla vittima;
  • il tempo in cui il post è rimasto online;
  • la reputazione della vittima e il suo ruolo sociale;
  • la volontà del reo di risarcire prontamente il danno alla vittima;
  • la visibilità del post o del commento (e dunque il numero di persone che potevano accedere al profilo).
 
Pubblicato : 12 Marzo 2024 11:30