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Messaggi a più persone: fanno scattare la diffamazione?

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(@angelo-greco)
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I messaggi privati inviati a più persone ma in modo individuale non fanno scattare la diffamazione. 

Una recente pronuncia della Corte di Cassazione (la sentenza n. 5701/2024), ha chiarito se il fatto di inviare messaggi a più persone fa scattare la diffamazione.

Il caso in esame riguardava un uomo che aveva agito contro la sua ex-partner, accusandola di aver inoltrato dei messaggi privati a due suoi amici con l’intento di danneggiarlo e isolarlo dal contesto sociale e professionale.

Il dibattito giuridico si è concentrato sulla valutazione se tali comunicazioni private potessero configurarsi come atti di diffamazione, data la loro natura riservata e l’assenza di una diffusione al di là dei singoli destinatari.

La Corte di Cassazione, confermando le valutazioni dei gradi di giudizio precedenti, ha stabilito che l’invio di messaggi tramite la piattaforma di Facebook, pur se indirizzati a più soggetti, non integra di per sé il reato di diffamazione. E ciò perché mancherebbe il requisito della comunicazione a più persone, richiesto invece per la diffamazione.

Si tratta di un precedente che sconfessa l’interpretazione sino ad oggi sposata dalla Suprema Corte e che, pertanto, merita un chiarimento.

Messaggi: quando sono diffamatori?

Affinché possa scattare la diffamazione è necessario che sussistano i seguenti elementi:

  • un’espressione che travalichi la critica il cui scopo sia ledere l’onore e la reputazione (personale o professionale) di una persona;
  • l’assenza della vittima;
  • la presenza di almeno due persone.

Il messaggio inviato in una chat di gruppo integra la diffamazione solo se, nel momento stesso in cui il testo viene “pubblicato”, il destinatario dell’offesa è offline, ossia non è presente; non importa se si connette poco dopo, alla vista della notifica sullo smartphone.

Invece, se la vittima è presente e può interagire con il reo nel momento stesso in cui questi spedisce il messaggio, non si ha diffamazione ma semplice ingiuria. Lo ricordiamo: l’ingiuria (che si caratterizza per il fatto di offendere una persona che in quel momento è presente) non è reato ma un semplice illecito civile che dà tutt’al più diritto al risarcimento.

Il post o il commento pubblicato su un social network segue le stesse regole: se il destinatario dell’offesa non è connesso, si ha diffamazione. Se invece è online si ha solo ingiuria.

Messaggio a una sola persona: è diffamazione?

Il messaggio offensivo nei confronti di un terzo inviato a una sola persona non può essere diffamazione. È vero che la vittima non è presente ma manca l’ulteriore elemento della diffamazione, ossia la presenza di almeno due persone.

Ma che succede se lo stesso messaggio viene inviato a più persone in momenti tra loro distinti? Tradizionalmente la Cassazione ha sempre detto che, in un’ipotesi del genere, si ha diffamazione. Un esempio servirà a comprendere meglio la questione.

Tizio vuol far sapere a tutti che Caia è una donna di facili costumi. Così invia prima un messaggio a Mevio, poi a Sempronio, poi a Muzio, poi a Tiberio. Ebbene, se il messaggio ha sempre lo stesso contenuto e il medesimo tenore, possiamo parlare ugualmente di diffamazione. Il fatto che il comportamento sia stato “spezzettato” in più azioni tra loro distinte non pregiudica il fatto che la comunicazione offensiva sia stata comunque rivolta a più persone. L’intento diffamatorio insomma si è realizzato.

Tuttavia la sentenza qui in commento sembra affermare il principio opposto. Secondo la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, in casi come il presente, dove le comunicazioni sono dirette individualmente a più persone in momenti tra loro distinti, l’elemento costitutivo della diffamazione, ovvero la diffusività della condotta denigratoria, non sussiste. Non è quindi integrato alcun reato nella condotta di chi offende la reputazione di un terzo parlando con più persone ma in momenti tra loro distinti, con messaggio o a voce.

Quando il messaggio a una sola persona può far scattare la diffamazione?

La sentenza prospetta un’ipotesi in cui il comportamento sin qui descritto – quello cioè di chi invia messaggi privati a singole persone e non a un gruppo intero – può far scattare la diffamazione. Ciò succede quando chi invia i messaggi manifesta la volontà o compie azioni tali da favorire ulteriormente la diffusione del contenuto diffamatorio tramite il destinatario. Si pensi al caso di Tizio che comunichi un fatto a Caio ben sapendo – o chiedendoglielo espressamente – che questi lo andrà a riferire ad altre persone.

Inoltre, la Corte ha precisato che non si può presumere che l’uso di strumenti di comunicazione come i messaggi privati di Facebook comporti, per le loro caratteristiche, un’accettazione del rischio di diffusione dei contenuti inviati. Un tale approccio presuntivo rischierebbe di ribaltare ingiustamente sull’utente l’onere della prova, presupponendo una volontà di diffusione non dimostrata.

Conclusioni

In conclusione, la sentenza della Corte di Cassazione chiarisce che l’invio di messaggi privati tramite social network, anche se indirizzati a più persone ma in maniera individuale, non costituisce automaticamente un atto di diffamazione. Tale interpretazione tutela la comunicazione privata, sottolineando l’importanza di valutare il contesto e le intenzioni effettive degli utenti, senza attribuire presunzioni di colpevolezza basate esclusivamente sul mezzo di comunicazione utilizzato.

 
Pubblicato : 11 Marzo 2024 10:45