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Come guadagnare con gli insulti sui social degli haters

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(@angelo-greco)
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Quando è diffamazione su internet e come agire contro il colpevole.

Per chi sta sui social e non riesce a monetizzare dai propri follower – vuoi perché le piattaforme non remunerano, vuoi perché gli sponsor non sono interessati a una partnership – esiste un modo per fare soldi senza lavorare: grazie agli insulti degli haters. Difatti, come anche questi ultimi ben sanno, ogni offesa pronunciata o digitata dinanzi ad almeno due persone (e su internet ce ne sono molte più di due) integra il reato di diffamazione.

Esistono due modi (non necessariamente alternativi) per punire la diffamazione: con una querela penale e con una richiesta di risarcimento del danno. Ed è proprio su quest’ultima che i novelli influencer e divulgatori puntano. Proprio per questo, qui di seguito ti spiegheremo come guadagnare con gli insulti sui social degli hater, come si fa a contattare il responsabile, a quanto ammontano i risarcimenti spettanti alla vittima e soprattutto come agire se il colpevole non vuole pagare. Vedremo, infine, quali sono le parole che si possono direi sui social e quali no.

Ma procediamo con ordine.

Offendere qualcuno sui social è diffamazione?

L’offesa fatta sui social integra il reato di diffamazione aggravata che è punito con la reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2065 euro.

Affinché l’insulto possa essere considerato illecito è necessario che non si risolva in una semplice critica all’operato di una persona: deve essere rivolto a denigrarla o a danneggiare il suo onore e la reputazione morale o professionale. Deve insomma risolversi in un gratuito e inutile attacco alla persona.

Più avanti indicheremo, alla luce delle pronunce della Cassazione, quali parole si possono dire e quali invece integrano la diffamazione.

È diffamazione anche quando lo scambio di messaggi avviene in una serie di “botta e risposta” tra la vittima e il responsabile. Infatti, ciò che fa scattare la diffamazione è la “non contestualità” delle affermazioni. Se la discussione avvenisse infatti “in diretta”, scatterebbe allora l’ingiuria che non è un reato.

Poniamo quindi il caso di Roberto che, trovando un post di Marco, lo commenti in modo offensivo. Marco si collega dopo due minuti e legge la frase: in tal caso, c’è diffamazione. Se invece Marco e Roberto si rispondono a vicenda, a suon di commenti, nello stesso identico istante allora non c’è reato.

Come ogni reato, anche la diffamazione implica non solo una responsabilità penale ma anche una civile e quindi l’obbligo di risarcire il danno alla vittima. È proprio grazie a questa richiesta di risarcimento che la parte lesa può monetizzare dagli insulti ricevuti sui social. E attenzione: secondo la Cassazione, per integrare la diffamazione, non è necessario utilizzare parolacce (come vedremo, infatti, è diffamazione dire “sei un pagliaccio, un leccapiedi, un raccomandato): è possibile incorrere nel reato anche con l’uso di semplici emoji offensivi (come quello a forma di escrementi, di faccina che vomita, di pagliaccio).

Come si risale dall’account al responsabile?

Il più delle volte, quando l’account riporta il nome effettivo del suo titolare, basta verificare, tra le informazioni di profilo o nelle foto pubblicate, il luogo ove questi vive per poi rivolgersi all’Anagrafe della popolazione residente e da lì estrarre un certificato di residenza. È proprio in questo luogo infatti che andrà inviata la lettera con la richiesta di risarcimento.

La richiesta del certificato non deve essere motivata: chiunque ha diritto infatti a conoscere la residenza di ogni cittadino italiano, anche e soprattutto ai fini giudiziali (ossia per far valere i propri diritti).

Se qualcuno sta chiedendo un certificato di residenza nei tuoi riguardi, tu non lo saprai mai perché il tuo Comune non può comunicartelo.

I problemi si pongono quando il nome dell’account è di fantasia. In questo caso la trafila è un po’ più complessa ma non impossibile. Bisogna procedere prima con una querela penale, presentata dinanzi alla polizia postale. Quest’ultima è in grado di risalire, dall’account, all’indirizzo IP di connessione e quindi al luogo ove tale connessione è avvenuta, anche se si tratta di un indirizzo dinamico e non statico (quello ad esempio di uno smartphone).

Acquisita questa informazione, anche se il procedimento penale non dovesse andare avanti, è sempre possibile rivolgersi al responsabile in via civile e chiedergli il risarcimento.

L’ostacolo principale si pone quando l’hater si collega a internet con il wi-fi di una connessione pubblica. L’individuazione, in questi casi, risulta più complicata, ma non impossibile. Invece non c’è quasi nulla da fare quando l’hater usa una VPN che oscura il suo indirizzo IP. Ma si tratta di una sparuta minoranza: quella di chi agisce premeditatamente con l’intenzione di danneggiare, mentre gran parte degli insulti sui social avvengono d’istinto, senza pensarci e nella foga del momento. Il più delle volte, chi agisce in questo modo è ignorante: non conosce la legge o se ne disinteressa.

Cosa fare dopo aver individuato l’hater?

Una volta individuato l’hater, la strada è in discesa. La vittima ha due strade.

Può innanzitutto sporgere una querela, ma deve farlo entro 3 mesi da quando ha scoperto la frase offensiva. La querela può essere presentata dinanzi alla Procura della Repubblica, alla Polizia postale o ai Carabinieri e non necessita di avvocato.

La sola querela non garantisce la richiesta di risarcimento. È infatti necessario che, nel successivo procedimento penale, la vittima si costituisca parte civile con un avvocato per ottenere la cosiddetta “provvisionale”, ossia una sorta di risarcimento forfettizzato e quantificato in via provvisoria (salvo poi agire in via civile per l’esatta quantificazione).

La seconda via, che è quella più spesso utilizzata per guadagnare con gli insulti, è l’immediata richiesta di risarcimento del danno con una lettera di diffida.

Anche se la diffida può essere scritta, firmata e spedita direttamente dalla vittima, è sempre meglio rivolgersi a un avvocato. L’avvocato infatti saprà innanzitutto richiamare le norme corrette per inquadrare l’illecito e individuare quali sono le espressioni che integrano il reato di diffamazione. Inoltre la sua presenza contribuisce a intimorire l’hater e dargli un segnale sulla serietà delle intenzioni della controparte, intenzionata ad agire penalmente e civilmente contro di lui.

Lo scopo della lettera è portare l’hater a pagare pur di evitare una denuncia che potrebbe danneggiarlo sul piano lavorativo, sociale ed economico (visto che, per difendersi, dovrà comunque pagare un avvocato, la cui parcella è di solito più elevata rispetto alla richiesta di risarcimento avanzata nei suoi riguardi).

Alla lettera di diffida non deve necessariamente seguire l’azione legale (che, almeno quella in via civile, implica l’anticipo delle spese processuali da parte della vittima). Come anticipato, lo scopo è trovare un bonario componimento tra le parti.

Tuttavia la vittima potrebbe, anche per salvaguardare il proprio buon nome, sporgere la querela in via del tutto gratuita e senza affrontare alcuna spesa. Il processo penale viene infatti intentato dallo Stato e non richiede di farsi assistere da un avvocato (a meno che, come detto sopra, non ci sia l’intenzione di costituirsi parte civile per chiedere il risarcimento).

I termini di prescrizione del risarcimento del danno

Se, come abbiamo visto, per la querela ci sono massimo 3 mesi di tempo, la prescrizione del risarcimento del danno in via civile è molto più ampia: il danneggiato ha infatti 5 anni per chiedere le somme. E, se il termine sta per scadere, la vittima può farlo decorrere nuovamente da capo, interrompendo la prescrizione, proprio con l’invio della diffida.

Come deve essere la diffida?

Affinché la diffida possa avere valore, è necessario che contenga:

una copia (uno screenshot) della pagina contenente la diffamazione;

  • una quantificazione del danno, con indicazione di una cifra che la vittima è disposta ad accettare per di mettere a tacere tutto;
  • un termine ultimo per pagare, oltre il quale si procederà civilmente e/o penalmente.

Come si quantifica il danno in caso di diffamazione sui social?

Di norma è il giudice a quantificare il danno in caso di diffamazione. L’importo può variare sensibilmente in base a una serie di parametri quali:

  • il tipo di frase o parola: dire “mafioso” è più grave di dire “imbecille, andicappato”;
  • l’attribuzione di un fatto specifico: dire a una persona che è colpevole di uno specifico omicidio è più grave di dire genericamente che è un assassino;
  • il ruolo sociale e/o professionale che riveste la vittima: un’offesa rivolta a un ginecologo è certamente più grave rispetto a quella diretta a uno studente per via del danno professionale che può implicare l’accusa di essere un pedofilo;
  • il tempo in cui la frase resta online: chi cancella dopo poco tempo l’insulto può ridurre l’ammontare del risarcimento.

Quali sono le parole che rientrano nella diffamazione?

Come abbiamo anticipato sopra, non c’è bisogno di dire una parolaccia per commettere diffamazione. Secondo la Cassazione, sono diffamazione parole come:

  • maleducato [1];
  • mefistofelico, diabolico [2];
  • mantenuta, l’ha sposato per soldi [3];
  • coglione [4];
  • moroso, non paghi i debiti;
  • quella esaurita che non è altro [5];
  • ebete [6];
  • è un intrallazzato [7];
  • raccomandato, leccaculo, leccapiedi [8];
  • pregiudicato (sempre che effettivamente non sia in corso un procedimento penale) [9];
  • nei confronti di un giornalista «pseudo giornalaio (…) pagato per blaterare» [10];
  • viscido e senza spina dorsale [11];
  • è un miserabile bisognoso di cure psichiatriche [12];
  • professore, si fa per dire… [13];
  • buffone (a meno che il destinatario sia un politico) [14];
  • stronza [15];
  • zappatore [16];
  • femmina senza palle [17];
  • testa di cazzo [18];
  • il fatto di rivelare un tradimento [19];
  • penoso, mezza manica, è uno che frega il proprio datore di lavoro [20];
  • pagliaccio, imbecille, bimbominkia.

Per maggiori approfondimenti su cosa è diffamazione su internet, leggi i seguenti articoli:

Quali parolacce si possono dire sui social

Quando non è diffamazione sui social?

 
Pubblicato : 12 Febbraio 2024 09:45