Il populismo secondo Conte, il polo del buon senso e le ultime parole di Nemtsov
Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.
Dopo essersi dichiarato sovranista e populista prima, da capo del governo Lega-Cinquestelle, democratico e progressista poi, da capo del governo Cinquestelle-Pd, ora Giuseppe Conte spiega al Corriere della sera: «Mi hanno definito populista gentile, oggi mite. Vanno bene entrambi. Nella sua accezione più alta, di vicinanza ai bisogni e alle sensibilità dei cittadini, non è un’offesa». Lo annoto qui, per i tanti estimatori dell’«Avvocato del popolo», che insistono a parlare di una sua sofferta evoluzione. Conte può piacere o non piacere, ma due cose sono sicure: non cambia e soprattutto non soffre. Con la stessa lieta disinvoltura politica e lessicale, se le circostanze lo richiedessero, domani potrebbe definirsi comunista, ovviamente nell’accezione di vicinanza al bene comune, oppure nazional-socialista, naturalmente nell’accezione di vicinanza all’interesse nazionale e sociale. Il vento del cambiamento – come lo spirito – soffia dove vuole. Senti il suo sibilo, ma non sai donde viene né dove va.
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